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Home » Blog » Angelo Deiana: Reti, Big Data, Better Data

Angelo Deiana: Reti, Big Data, Better Data

  • Posted by Kairos
  • Categories News
  • Date 14 Maggio 2021
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Web reputation - big data - better data

Oggi è quanto mai importante essere in grado di conoscere le opportunità degli strumenti digitali, fondamentali per saper orientare la propria web reputation, conoscere ed individuare gli obiettivi e misurare i risultati, al fine di migliorare le performance di business personali.

Per comprendere meglio la nuova sfida della Data Driven Economy, abbiamo intervistato il dottor Angelo Deiana, autore di  “Web reputation” – Ed. Giacovelli.

Presidente di CONFASSOCIAZIONI, ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers) e ANCP (Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali) – Deiana è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza, di reti e di servizi professionali/finanziari in Italia.

 

Tre sono i concetti ricorrenti nel libro: web reputation, economia della conoscenza e Data Driven Economy. Presidente Deiana, puoi illustrarceli?

Angelo Deiana: Questi tre concetti sono un po’ i trend portanti di questa fase, non solo pandemica, ma post pandemica, noi da sempre sappiamo e viviamo in un sistema economico che ha dei grandi fattori della produzione: dapprima la terra, più avanti lavoro, capitale e conoscenza.

La conoscenza è sempre stata uno dei fattori produttivi più importanti però, con l’avvento delle reti, con l’avvento di Internet, con l’avvento di questo sistema globalizzato di scambio e condivisione di informazioni, la conoscenza ha sfruttato progressivamente una delle sue caratteristiche. Ovvero una caratteristica che la rende profondamente differente dagli altri fattori –  terra, capitale e lavoro – che insieme producono profitto. Ma mentre questi fattori si consumano, la conoscenza, quando è condivisa in rete, quando viene scambiata tra le persone, in realtà si accresce, aumenta.

C’è un bellissimo detto di George Bernard Shaw che recita: “Se io ho una moneta e tu hai una moneta, tu dai a me la tua moneta io do a te la mia moneta, alla fine del processo abbiamo tutti e due una moneta. Se io ho un’idea e tu hai un’idea, io do a te la mia idea e tu dai a me la tua, alla fine del processo abbiamo entrambi due idee”. Quindi, la conoscenza ha questa caratteristica, ovvero un effetto moltiplicatore che le consente di crescere ed è chiaro che questa crescita è particolarmente più rapida nei meccanismi dei social media e dei social network, dove non si scambiano solo informazioni esclusivamente per ragioni di business, ma si scambiano informazioni anche sulla nostra vita privata, sul nostro vivere  quotidiano di tutti i giorni. Pertanto ciò che prima veniva considerato un surplus inutilizzabile, adesso con il moderni sistemi di data Analytics che sostanzialmente track e monitora tutto il sistema dei dati, diventano importantissimi per predire comportamenti e per creare, a partire dal track-record del passato, la reputazione digitale di ciascuno di noi.

Noi lasciamo un’impronta digitale, quando agiamo in rete. Quell’impronta è un’impronta stabile; non è come le impronte “vecchie” anche culturali dell’epoca pre-digitale, che dopo un po’ svanivano; l’impronta digitale è stabile, si stratifica nel tempo e questo vuol dire che tutti noi ormai abbiamo quella che si può chiamare una “reputation sul web”, cioè una reputazione in cui il web ci racconta chi siamo, come siamo e cosa facciamo nel momento in cui facciamo business, andiamo sui social o scambiamo informazioni con qualche altro soggetto.

Ecco, questo è il tema del libro “Web reputation” edito da Giacovelli. Un tema importantissimo perché tutti noi; da una parte, dobbiamo cercare di capire quanto essere consapevoli quando rilasciamo dati e, dall’altra, è altrettanto importante perché noi dobbiamo cominciare a monitorare quella reputazione, proprio perché è stabile e influenzerà la nostra vita futura.

 

Come cambia l’approccio ai dati e alla reputazione nel passaggio dall’economia di ieri a quella di domani e soprattutto qual è il ruolo del web in questo contesto?

Angelo Deiana: Il ruolo del web è un ruolo strategico in quanto, ad eccezione del casellario giudiziale e delle indagini in corso che sono offline, tutto il resto è online e quindi, da questo punto di vista, il web ha una logica di moltiplicazione del sistema, strategica, globale e complessiva. Ma che vuol dire strategica?  Pensate un attimo a quello che succedeva prima nella cosiddetta economia dei sondaggi, prima si affrontavano spese importanti per testare prodotti e servizi su campioni che erano fatti da 1000/2000 persone.  Adesso attraverso il web, attraverso i social media, si possono impattare molti più soggetti e capire profondamente se quel prodotto o quel servizio potrà avere successo o meno. E questa è, chiamiamola così, uno “sforzo di coordinamento” importante là  dove chiaramente la supremazia su questo sbalzo di coordinamento ce l’hanno le grandi piattaforme, in quanto in cambio prendono tutti i nostri dati.

 

Qual è il vantaggio competitivo che le PMI, ma anche i professionisti, possono avere dalla gestione di questa reputazione e fiducia?

Angelo Deiana: E’ un vantaggio straordinario in quanto si prevede sempre più l’aumentano dei rapporti economici digitali; la pandemia è un grandissimo acceleratore che incrementa attività che non soltanto eravamo abituati a fare prima della pandemia, ma una serie di rapporti che ormai diamo per scontati, come il delivery, l’acquisto su Amazon e via dicendo. Ed è chiaro che avere una reputazione, o come persone o come aziende, vuol dire rispondere in maniera positiva alla domanda che tutti si fanno quando interagiscono on-line e cioè “mi posso fidare di questa persona? mi posso fidare di questa azienda?” che è un po’ come quando tentiamo di scaricare qualcosa dal web, l’antivirus ti dice se ti puoi fidare di questo soggetto. La reputazione è questo; è la capacità di far fidare il proprio consumatore, il proprio utente, piuttosto che amico piuttosto che altro, in un rapporto che chiaramente è a distanza. Pertanto viene a mancare quella parte di componenti – di soft skills – per cui si riesce a creare un’empatia e a creare una fiducia, che potrebbe anche non essere realistica, ma che comunque funziona.

L’impatto online adesso è fondamentalmente un impatto reputazionale; non a caso infatti le prime azioni che facciamo tutti quando conosciamo una persona nuova o un’azienda nuova è quello di andare a ricercarla su Google.

 

Le competenze e la formazione che ruolo hanno in questo processo evolutivo della nostra economia? In questa cambio di paradigma dell’economia, le competenze e la formazione hanno  un ruolo importante secondo te?

Angelo Deiana: Hanno un ruolo fondamentale, strategico e straordinario perché è chiaro che in una economia della conoscenza Data Driven, il tema fondamentale è quello di governare la conoscenza, cioè di saper distinguere le fonti in termini di autorevolezza.

L’autorevolezza è la reputazione. E in un mondo che produce una quantità straordinaria di dati, non sempre buoni. Da questo punto di vista, saper discernere quali sono le fonti autorevoli, avere la formazione e le competenze per poterle mettere a disposizione in rete, rappresenta un punto fondamentale per il futuro.

Grazie all’accelerazione pandemica, verso quella che potremmo definire un’“era di sostituzione tecnologica”, cioè dove algoritmi e macchine tenderanno a svolgere alcuni lavori e alcune cose che prima facevamo noi, se non vogliamo essere sostituiti da un algoritmo o da una macchina dobbiamo creare la nostra reputazione: E’ necessario alimentarla continuamente, con logiche di life-long learning, quindi di formazione di lungo periodo, e andare su quelle competenze più sofisticate che serviranno per non farci sostituire da un algoritmo da una macchina, come competenze di problem solving complesso, analogico, dove l’uomo ha ancora un vantaggio competitivo straordinario nel mettere insieme logiche diverse e logiche di pensiero laterale, nello stesso tempo andare dove le macchine sono deboli, ovvero verso le soft skills e quindi empatia, personal branding, capacità di fare marketing, capacità di ascolto e di interpretazione delle emozioni degli altri.

Questa è una cosa che sicuramente con il riconoscimento facciale, arriverà prima o poi nei prossimi 10, 15, 20 anni ma, in questo momento, problem solving complesso, quindi formazione verticale, e soft skills, quindi formazione orizzontale, rappresentano i due vantaggi competitivi della data driven economy e dell’economia della conoscenza.

Web reputation Big Data

Quanto contano i Big Data nella web reputation?

Angelo Deiana: I Big Data sono strumenti straordinari perché consentono di anticipare i trend come già detto a proposito della reputazione. Questa nostra impronta che lasciamo nel mondo, se ci pensiamo bene, è di tre tipi: è un’“impronta carbonica” e quindi l’impatto sul clima; è un’”impronta culturale” e quindi l’impatto sul sistema culturale che viviamo, ed è un’”impronta digitale”. L’impronta digitale è un’impronta straordinaria; è un’impronta “stabile” che difficilmente si cancella contrariamente per esempio a quella culturale. Il tempo da questo punto di vista sfuma certe  identità. L’impronta digitale invece è stabile con i Big Data, cioè il flusso di dati complessivi che tutti noi lasciamo. Questi dati possono essere interpretati, come già detto, per capire la  web reputation e capire quanto cuba in termini di valutazione di autorevolezza quella reputazione, però possono essere usati anche in termini predittivi, cioè andando a capire per esempio trackando i social network, con la sentiment analysis, dove gli italiani vorrebbero andare in vacanza nel 2022.

Questo sistema di Big Data consente alle aziende, con i relativi sistemi di Analytics, di fare per esempio il pre-booking in maniera molto più dettagliata e molto più precisa. Il tema dei Better Data è un tema ancora più importante e si ricollega al fatto che comunque i big data sono per il 90% dati comportamentali, cioè dati che vengono estratti dai social network e dal nostro sistema di rete e che tendono a standardizzare alcuni nostri comportamenti. Non sempre questi comportamenti corrispondono alla realtà, pensiamo ad esempio al fenomeno dei soggetti che tendono ad esaltare alcune logiche di ricchezza postando immagini correlate ad episodi della loro vita. Ad esempio, se sottraggo 50mila euro al mio vicino di casa, vado a Montecarlo, faccio la bella vita per qualche giorno e posto tutte le foto su Instagram; Instagram rivenderà al suo sistema esterno, ovvero alla sua galassia di fornitori, una serie di informazioni che corrispondono alla realtà per certi versi, ma alla resa dei conti non sono “stratificate” cioè non sono strutturate in maniera profonda e quindi possono condurre a interpretazioni sbagliate. Il tema dei Better Data è legato proprio alla necessità di capire come incrociare queste informazioni con altre che apportino valore. Infatti questo è uno dei grandi temi per cui i grandi Social o piattaforme come Amazon, o grandi band come Apple stanno cercando di entrare in modo preponderante nel sistema dei pagamenti e nei sistemi bancari, questo perché i dati reddituali e patrimoniali darebbero invece un’impronta di “better-data” rispetto a questo soggetto che magari ha rubato i suoi 50mila euro. E’ proprio lì quindi che si vedrà il salto di qualità, da qui al futuro, nel passaggio a dati che siano più realistici e meno fake.

 

Presidente Deiana, tu hai sempre una visione prospettica molto marcata. Volevamo capire come si evolverà il mondo del lavoro nel breve e medio termine?

Angelo Deiana: Usciamo da una pandemia disastrosa; ci sono dati dell’OIL – Organizzazione Internazionale del Lavoro – a livello globale, in termini di ore e di posti di lavoro persi, che sono drammatici. Il tema fondamentale sarà quello, e ancora una volta lo ripetiamo, della formazione e dell’life-long learning, ovvero se si vuole stare sul mercato ci si deve stare con determinate skills di medio-alto livello. Poi, è chiaro che questa impronta formativa, digitale, esperienziale nel lavoro  diventerà sempre più importante per tutti e, sperando di uscire rapidamente dalla crisi pandemiche post pandemica, quindi con una ripresa in termini di investimenti e di relativa occupazione, sarà importante per tutti, ancora una volta, misurare la propria reputazione sul mercato del lavoro. Ovvero quel proprio indice di employability, come riporto nel libro, ovvero capire se le tue competenze corrispondono alla domanda di mercato.

Il tema fondamentale è sempre quello del gap che si si verifica quando ognuno di noi non ha la percezione di quanto sia attrattivo sul mercato e questo genera due svantaggi: il primo che non abbiamo sufficiente consapevolezza delle nostre possibilità; il secondo che il mercato probabilmente non ci percepisce proprio come “occupabili e profittevoli” nel mercato del lavoro.

Questo è uno dei temi più importanti che viene affrontato alla fine del libro: costruire questi indici di occupabilità, o indici di employability, tenendo conto che non siamo tutti uguali in un mercato del lavoro di per sè non uniforme e che quindi ci sono soggetti con skills di alto livello che naturalmente tendono a performare meglio, su LinkedIn piuttosto che su altri social, rispetto a soggetti meno skillati di medio livello che magari però hanno delle soft skills straordinarie che nessuno misura. Credo che questo sia uno degli orizzonti del mercato del lavoro per il prossimo 2021.

La sensibilità verso questi cambiamenti da parte delle aziende è diversa da quella delle professioni; cosa possiamo fare per sensibilizzare le professioni riguardo a questi argomenti? Siamo a conoscenza che come Confassociazioni questo è un lavoro costante e giornaliero, ma al di fuori di Confassociazioni, che cosa si può fare per aumentare questo grado di sensibilità?

Angelo Deiana: E’ una sfida difficile soprattutto in Italia, per un motivo molto semplice, perché noi abbiamo un forte radicamento di quella che è la cultura organizzativa del ‘900, dove le imprese sono imprese, i sindacati sono sindacati, le professioni sono professioni, i commercianti sono commercianti e gli artigiani sono artigiani. In questo momento, in questo XXI secolo, dopo vent’anni finalmente stiamo cominciando a renderci conto che il trend non è più così diviso, nel senso che ognuno di noi ha a disposizione un proprio capitale intellettuale che lo mette a disposizione in forma organizzativa nel corso della sua vita, in maniera diversa. Se pensiamo che  ormai nel mondo il lavoro si entra con una partita IVA, poi si  diventa dipendenti a tempo determinato, poi a tempo indeterminato si fa carriera e nel contempo, a causa di una crisi aziendale o di una pandemia, si viene licenziati e quindi bisogna riciclarsi ancora come professionisti o come imprenditori. Quindi la forma organizzativa diventa una deriva mobile che bisogna applicare nel momento storico e secondo le scelte che ognuno di noi vuole fare.

Questa è ancora una cosa molto difficile da far capire in Italia, anche perché tutti gli Istituti normativi e di welfare sono in realtà basati sul precedente modello e quindi creare la permeabilità ed un sistema di continuità professionale è molto difficile.

Credo che lo sforzo sia culturale, una sfida culturale profonda; dobbiamo continuare a portarla avanti perché in futuro sarà sempre più così.

Il video dell’intervista a questo link

Video Intervista ad Angelo Deiana Confassociazioni

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